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Dagli scarti della lana, fertilizzanti ad alto valore aggiunto

Dagli scarti della lana, fertilizzanti ad alto valore aggiunto

Con un investimento di poche migliaia di euro, si trasformano rifiuti in nuovi prodotti e nuove opportunità: in Europa si allevano 100 milioni di pecore (9 solo in Italia).

Il progetto, europeo, si chiama Life+GreenWoolf, è iniziato il 1 luglio 2013 e terminerà il 30 giugno 2016. Il suo obiettivo è quello di dimostrare l’efficacia di un processo di conversione delle lane di scarto in fertilizzante ad alto valore aggiunto attraverso un trattamento di idrolisi con acqua surriscaldata.
Il suo coordinamento è stato affidato al Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per lo Studio delle Macromolecole di Biella (TO), mentre partner del progetto sono il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino e l’azienda meccanotessile Obem spa di Biella.

“Attualmente lo scarto della lana tosata alle pecore è considerato un rifiuto – spiega Raffaella Mossotti del Cnr e project coordinator – e come tale deve essere smaltito con i relativi costi a carico degli allevatori. Era quindi necessario trovare soluzioni che puntassero a una valorizzazione di questi scarti, e la possibilità di dare vita a un processo che potesse convertire la cosiddetta lana sucida in fertilizzante è parsa una strada percorribile su cui concentrarsi”.

Va precisato che stiamo parlando della lana ottenuta da pecore di razza Sarda, la cui caratteristica è quella di essere particolarmente grossolana e dura, poco sfruttata in campo tessile e ben diversa dalla più pregiata Merinos, nota per la sua morbidezza. Ma in quale modo si può ottenere un fertilizzante dalla lana di scarto? “Attraverso un processo di idrolisi con acqua surriscaldata – continua Mossotti – in pratica, al termine di una nostra prima fase di ricerca scientifica e sulla base di nostre specifiche indicazioni la ditta Obem Spa ha realizzato una macchina, che assomiglia molto a una betoniera, all’interno della quale viene immessa la lana sucida che viene idrolizzata con un getto di vapore a 180°C: a seconda della durata di questo trattamento si ottiene un fertilizzante solido pellettizzabile o liquido. Per il primo è sufficiente un’ora, per il secondo un’ora e mezza”.

La macchina attualmente in funzione può trattare fino a 10 kg di lana sucida e il pool di ricercatori del CNR guidati da Raffaella Mossotti sta visitando gli allevamenti ovini presenti in Italia, dislocati in special modo in Sardegna, Toscana, Lazio e Sicilia per presentarla e diffonderne i vantaggi derivanti dal suo utilizzo. “Stiamo riscontrando da parte degli allevatori un notevole interesse – afferma la ricercatrice – in Sardegna, in particolar modo, molti stanno ragionando sulla possibilità di consorziarsi per acquistare in un prossimo futuro una macchina che possa essere utilizzata da un gruppo di aziende, ammortizzando in questo modo più velocemente l’investimento iniziale che, compresa la caldaia, potrebbe tradursi in qualche decina di migliaia di euro”. Lo smaltimento della lana sucida, in Europa, è un problema molto diffuso visto che nell’intero continente si allevano oltre 100 milioni di pecore, di cui solo 9 milioni in Italia. I Paesi maggiormente coinvolti sono la Gran Bretagna, la Spagna, la Grecia, la Francia, l’Irlanda e la Romania e in alcuni di essi il progetto Life+GreenWoolf è già stato presentato. “Ogni anno una pecora produce circa 2 kg di lana – riflette Mossotti – per un totale di 200mila tonnellate/anno/Europa, di cui tra le 18 e le 20mila in Italia. Attualmente la macchina realizzata per idrolizzare la lana e convertirla in fertilizzante ha una capienza massima di 20 kg, ma la Obem conta di realizzarne una che possa arrivare ad avere una capacità di 100 kg”.

Riguardo le proprietà del fertilizzante ottenuto, le ricerche scientifiche e le prove in campo condotte dalla facoltà di Agraria dell’Università di Torino hanno dimostrato che il prodotto, non fitotossico, ha un ottimo potere stimolante sulla coltura ed è particolarmente indicato in viticoltura e frutticoltura, tant’è vero che nei prossimi mesi alcuni produttori lo utilizzeranno in via sperimentale in alcune parcelle dei loro terreni.


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