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Nelle mense italiane si spreca il 40% del cibo

Nelle mense italiane si spreca il 40% del cibo

Al Forum Compraverde presentato studio sulla ristorazione.

La riduzione dello spreco di cibo e una dieta alimentare ricca di cibo vegetale da soli permetterebbero un risparmio tra i 150 ed i 200 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050. Non a caso un piatto di carne produce in media circa 50 volte più emissioni di un piatto di legumi. La stragrande maggioranza della terra è usata infatti per produrre cibo di origine animale, provocando deforestazione oltre alle inevitabili emissioni enteriche del ciclo di vita del bestiame.

Questa la fotografia scattata durante il Forum Compraverde Buygreen, un evento di riferimento in Italia e in Europa, promosso dalla Fondazione Ecosistemi, per le politiche, i progetti, i beni e i servizi di green procurement, pubblico e privato.

Stando a un rapporto di Project Drawdown, ente no profit che si occupa di trovare soluzioni al cambiamento climatico a livello globale, tra tutte le soluzioni, quelle che riguardano il cibo, l’agricoltura e l’utilizzo del suolo nel complesso contribuirebbero a più del 40% della riduzione delle emissioni necessaria entro il 2050.

Proprio a causa delle profonde connessioni tra la produzione di cibo, la crisi ambientale e le sue più promettenti soluzioni, è necessario sviluppare strumenti che permettano di valutare l’impatto della ristorazione collettiva, mettendo in luce i vantaggi dell’adozione di diete sane, della riduzione delle proteine animali, dell’uso di pratiche agricole sostenibili ed efficienti in termini di ecosistemi.

A questo scopo la Fondazione Ecosistemi ha sviluppato un calcolatore di impatto della ristorazione collettiva che, in accordo con il World Resource Institute, prenda in considerazione l’impatto della terra in modo integrale ed effettivo, considerandone la “Carbon Opportunity Cost”. Questo strumento permette di stimare in maniera innovativa gli effetti di pratiche agricole diverse, come il biologico, il pascolo naturale, o anche dell’acquisto dell’animale intero, della filiera corta, e molto altro, al fine di supportare le stazioni appaltanti a servire pasti più sostenibili.

La ristorazione pubblica collettiva in Italia rappresenta un esempio virtuoso rispetto ad altre realtà europee, anche grazie ai criteri ambientali minimi attualmente in vigore. Tuttavia essa presenta diverse criticità e impellenti necessità di miglioramento. I pasti della ristorazione pubblica in Italia contengono nella stragrande maggioranza pietanze a base di cibo animale.

Per esempio nelle scuole i pasti in cui la proteina principale sia di origine vegetale, nelle situazioni più virtuose, costituiscono comunque solo il 5 -10% del totale, mentre spesso essi non sono proprio presenti nel menu. Inoltre, nonostante l’introduzione di criteri ambientali minimi sulla gestione delle eccedenze alimentari, le buone pratiche a questo riguardo sono ancora in minoranza e lo spreco di cibo nelle mense può superare anche il 40%.

Nell’ambito delle tecniche agricole a basso impatto ambientale inoltre in molti casi mancano certificazioni specifiche riconosciute che permettano alle stazioni appaltanti la scelta del cibo più sostenibile.

Lo scopo del calcolatore sviluppato dalla Fondazione Ecosistemi, oltre a fornire delle checklist di buone pratiche, è proprio quello di valutare i pasti della ristorazione collettiva in termini di diversi indicatori, tra cui i gas serra emessi, gli impatti sociali e sulla salute, sulla biodiversità, sull’acqua, sul rischio epidemico, questo rispetto a molte variabili, quali per esempio il tipo di pratica agricola, il tipo di acquisto, la gestione degli sprechi, le attività educative e di comunicazione. Lo strumento per esempio è in grado di mostrare che un piatto di carne di manzo può avere un impatto fino a 13 volte inferiore se prodotto da pascolo naturale locale piuttosto che da allevamento intensivo, o che introducendo solo due pasti al mese a base di proteina vegetale in una scuola primaria di media grandezza si risparmiano intorno alle 50 tonnellate di CO2 equivalente per anno. Nel panorama italiano uno degli ostacoli a rendere difficile i cambiamenti, anche quelli di piccola entità, è la mancanza di dialogo e interazione tra i diversi attori coinvolti nella ristorazione collettiva.


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